Quando il tempo dà esperienza?

Nell’articolo precedente in buona sostanza mi sono detto che:

1) le risorse fossili a disposizione del pianeta non possono durare per molto (inteso in termini relativi alla storia dell’umanità).

2) che l’energia rinnovabile potenzialmente a disposizione è molto maggiore di quanto mai sarà necessario. Ma la sua frazione fruibile è un altra cosa: oggi, diciamocielo chiaro, questa frazione è veramente infima rispetto al fabbisogno energetico, quantitativamente e qualitativamente. Sostanzialmente questo è dovuto a molti limiti, alcuni di principio, altri tecnologici.

3) forse sui limiti tecnologici si può lavorare, ma bisogna fare in fretta (vedi punto 1).

4) ridurre la domanda energetica può darci un po’ di tempo in più. Ma come e di quanto non è questione semplice.

Sette limiti e quattro domande insolute. Non c’è male. E allora cominciamo da un punto per volta: il progresso delle tecnologie. Quanto può migliorare la fruibilità delle fonti rinnovabili e in quanto tempo?

Ricorro ad un principio un po’ accademico, che è quello delle curve di esperienza (primi a svilupparla quelli del Boston Consulting Group, metà anni ’60), cioè del tasso di riduzione dei costi di una tecnologia: almeno fino alla maturità commerciale, ma a volte fino alla sostituzione da parte di un’alternativa che la renda obsoleta, una certa tecnologia ha un tasso di riduzione dei costi che va esponenzialmente con le quantità messe in funzione. Come dire: ogni raddoppio della potenza installata il costo per unità di potenza si riduce di una certa percentuale fissa.  Come dire: se dopo 1000 MW installati siamo a 5000 euro/kW (numeri buttati lì da esempio) se a 2000MW il costo è sceso a 3500kW (70%), a 4000 MW installati si sarà ridotto ad un altro 70%, cioè 2450 €/kW. E dopo 8000 MW saremo a 1715€/kW, e così via.

In effetti, qualcosa di simile deve essere successo per automobili, telefonini, computer e tante altre cose, chi con il 70%, chi con il 95% o l’80%. Così dovrebbe essere per le tecnologie dell’energia, plausibilmente.

Ma questo non significa assolutamente il successo di una tecnologia: chi spinge il primo tratto della curva d’esperienza? Il primissimo, quello in cui il prodotto ha un prezzo (e spesso anche dei difetti) non proponibile ad un utente “commerciale”? Lo spingono i programmi di ricerca, che arrivano magari a realizzare costosissimi programmi pilota. L’investitore è spesso pubblico, ma di solito dietro c’è qualche costruttore che è interessato a cosa succederà dopo. Altre volte la tecnologia ha, nella convinzione di un qualche soggetto privato, un potenziale commerciale talmente redditizio che questo costruttore privato fa da solo, senza finanziamento pubblico, pur di tener segreti i suoi progressi.

Anche dopo questa prima fase, ne segue un’altra in cui la tecnologia ha ancora difficoltà competitive:  i numeri della curva di esperienza ancora non si incrementerebbero spontaneamente senza qualche agevolazione. E allora può esserci in gioco l’incentivo. Che è in sostanza un investimento pubblico, non privo di risvolti politici.

Quando fu chiaro che le turbine a gas potevano scendere dagli aerei per diventare un efficace sistema di generazione elettrica, il governo statunitense concesse loro margini di emissione NOx piuttosto larghi (3-400ppm credo, erano i primi anni 70). Questo permise ai costruttori, sebbene con sforzi tecnologici, di proporre modelli commerciali. Diversamente la mancanza di competitività avrebbe chiuso sul nascere l’avventura dei turbogas. Il DOE accompagnò il progresso per mano, restringendo i limiti man mano che si riconosceva che ce la si poteva fare con costi accettabili. Oggi il turbogas è una macchina matura e relativamente pulita, con 10ppm di NOx ottenibili piuttosto agevolmente. E difatti da loro si esigono limiti simili (a volte anche meno).

Per le rinnovabili dovrebbe succedere la stessa cosa, dato che un aiuto insufficiente taglia sul nascere ogni penetrazione sul mercato. Ma un aiuto a cuor leggero non ottiene l’effetto di stimolare il progresso: i pannelli nella foto sotto evidentemente hanno beneficiato di incentivo un po’ troppo largo:

Questo è il punto: se nel tentativo di far percorrere i numeri di produzione velocemente, si allargano i benefici concessi in modo scriteriato, i numeri crescono ma la tecnologia non migliora, dato che la competitività non è guadagnata sul campo, ma assicurata. Come dire che ad ogni raddoppio i costi scendono al 95% anzichè al 70% (sempre numeri di puro esempio):  sto buttando  i soldi dei contribuenti (a volte non per inesperienza del regolatore ma perchè delle lobbies  sono riuscite a far passare un incentivo dissennato). Come dicevo prima, se dalle rinnovabili mi aspetto in un tempo limitato una responsabilità che oggi non sono in grado di sostenere, dovrei stare più attento a questi svarioni.  Come per la crescita umana, il tempo dà esperienza quando ti fa vedere delle possibilità ma ti costringe a porti problemi; chiaro, no?

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2 risposte a Quando il tempo dà esperienza?

  1. fausto ha detto:

    In effetti sarebbe meglio abbandonare tutto al mercato: quando gli italiani avranno finito di perdere il lavoro e non potranno pagare la bolletta del gas, si ricorderanno dell’importanza di isolare le pareti di casa. E allo si decideranno finalmente ad intervenire con…i quattrini che non hanno più?

    Con questo non ho intenti polemici, intendo solo far presente un grosso problema organizzativo che si profila all’orizzonte. La tempistica nelle reazioni: anche il tempo per intervenire è una risorsa disponibile in quantità finita.

  2. sesto rasi ha detto:

    sante parole, fausto, proprio lì voglio arrivare…

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